“Proteggiamo gli antibiotici”

L’utilizzo responsabile è la strategia migliore per ridurre l’antimicrobico-resistenza

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Continuano gli approfondimenti sul tema dell’antibiotico-resistenza del nostro giornale con un prezioso contributo di Anna Zaghini, professore ordinario di Farmacologia e Tossicologia Veterinaria del Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie all’Alma Mater Studiorum dell’Università di Bologna.

Prof.ssa Anna Zaghini

Perché ho pensato a questo titolo? Gli antibiotici sono farmaci indispensabili e salvavita, ma rischiamo di perderli e di cadere nella cosiddetta era post-antibiotica, e l’emergenza SARS-COV-2 ci mostra cosa voglia dire il non avere terapie mirate. Gli antibiotici sono disponibili sia per la Medicina Umana sia per quella Veterinaria, ma spesso i batteri non sono più sensibili ai loro effetti: sono diventati resistenti.

Il termine antibiotico indica una sostanza chimica di origine naturale o di sintesi che è in grado di inibire la crescita o la sopravvivenza dei batteri. La penicillina fu scoperta da Fleming nel 1928 per entrare in uso verso il 1940; negli anni tra il 1960 e il 1980 fu identificata la maggior parte degli antibiotici.

La scoperta, la produzione e l’utilizzo (non sempre il “buon utilizzo”) di antibiotici è stata affiancata da una diffusione sempre maggiore dell’antibiotico resistenza. Già nel 1945 Fleming segnalava le resistenze di numerosi batteri alla penicillina, soprattutto per concentrazioni insufficienti per ucciderli; dagli anni ’90 a oggi la produzione di nuovi antibiotici si è praticamente annullata, mentre le resistenze sono aumentate in maniera esponenziale.

Molti batteri sono naturalmente insensibili agli antibiotici, ma ciò che preoccupa è la resistenza acquisita: batteri originariamente sensibili a un antibiotico divengono insensibili (resistenti); questo può avvenire per mutazione spontanea o, più spesso, per acquisizione di materiale genetico esterno. In questo modo i batteri diventano capaci di produrre enzimi inattivanti gli antibiotici, oppure di modificare punti chiave della loro struttura che sono necessari per lo svolgimento del meccanismo d’azione del farmaco. La resistenza è quindi un evento naturale e rientra nei normali meccanismi evolutivi dei batteri consentendo loro di sopravvivere e di moltiplicarsi anche in condizioni avverse.

Perché l’antibiotico resistenza è così preoccupante?

I motivi di base sono essenzialmente due: la caratteristica di resistenza può essere facilmente trasferita ad altri batteri, non necessariamente patogeni; in molti casi si osserva la multi-resistenza: un batterio diviene resistente contemporaneamente a più antibiotici di famiglie diverse. Quindi l’antibiotico resistenza ha una grande facilità di diffusione e la presenza di grandi quantità di antibiotici in diversi ambienti (medicina umana e veterinaria, agricoltura, inquinamento ambientale, ecc.) conseguente ad un frequente non corretto utilizzo (diffuso impiego di antibiotici ad ampio spettro; uso di antibiotici più recenti rispetto a quelli più vecchi ma ancora efficaci; uso a scopo profilattico; scarsa attenzione alla cinetica nelle diverse specie; mancato rispetto del protocollo terapeutico soprattutto per gli intervalli tra le somministrazioni e la durata della terapia) e spesso senza un reale fondamento (nelle infezioni virali, oppure sottovalutando le capacità del sistema immunitario dei pazienti), fanno sì che il loro effetto antibatterico si rivolga ai batteri sensibili, mentre quelli resistenti sono nella condizione di prendere il sopravvento.

Recente è l’osservazione che l’ingestione di residui di antibiotici nei prodotti di origine animale conformi ai quantitativi ammessi dalla regolamentazione vigente (Limite Massimo Residuale) potrebbe esporre il microbiota intestinale a concentrazioni di antibiotici superiori ai limiti di Minimal Selective Concentration, cioè le più basse concentrazioni di antibiotico che “avvantaggerebbero” i batteri resistenti rispetto ai sensibili, situazione che potrebbe facilitare la crescita di batteri resistenti. Questo suggerisce che anche concentrazioni di antibiotico inferiori ai valori di Minima Concentrazione Inibente (MIC) sarebbero in grado di selezionare batteri resistenti.

È evidente la grande facilità con cui i batteri resistenti, e più ancora i geni di resistenza, si trasmettano dagli animali (da produzione e da compagnia) all’uomo e viceversa, dagli alimenti all’uomo (l’antibiotico resistenza è oggi inserita tra le zoonosi, malattie che possono essere trasmesse dagli animali all’uomo), come pure in: ambiente (terra e acqua), fauna selvatica, frutta e vegetali, acque reflue (anche di aerei), ecc.. Ormai i geni di resistenza sono ubiquitari.

L’antibiotico resistenza ha un impatto enorme sull’uomo, sugli animali e sull’ambiente sia da un punto di vista strettamente clinico, sia come ricaduta economica. Il rapporto ONU stima che, entro il 2050, le malattie da batteri resistenti potrebbero arrivare a causare dieci milioni di morti all’anno.

L’antibiotico resistenza è un evento naturale, ma se ne può limitare l’ulteriore diffusione. Questo è possibile acquisendo la piena consapevolezza dell’uso responsabile degli antibiotici, come indicato dagli Organismi mondiali della Sanità nelle linee guida (terapie sotto stretto controllo medico; scelta di antibiotico su base clinica e diagnostica; trattamenti mirati e solo quando necessari; riduzione dell’uso profilattico a situazioni eccezionali; rafforzamento dei mezzi di prevenzione delle patologie batteriche; valutazione dell’impatto ambientale dei trattamenti; diffusione a tutti i livelli della cultura dell’uso responsabile degli antibiotici; individuazione di strategie alternative/integrative).

Segnali positivi arrivano da quei Paesi che già da tempo hanno ridotto l’uso di antibiotici: l’incidenza di alcune resistenze è in calo.

C’è ancora molto da fare, i batteri resistenti sono tuttora in grande vantaggio, e, a maggior ragione in questa pandemia da SARS-COV-2 che vede un forte aumento dell’uso di antibiotici, va perseguito con forza quell’approccio One Health che mette sullo stesso piano la salute dell’uomo, degli animali e dell’ambiente.

Prof.ssa Anna Zaghini, Università di Bologna