A Cascina Sant’Antonio

Una storia ultracentenaria di passione e impegno

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RITRATTI – L’epopea della famiglia Bussi e dei cambi di cognome

CERVIGNASCO

Lettere che si scambiano, nomi che si ripetono. È un’avventura che parte da lontano, che attraversa oltre tre secoli di storia e che racconta la tenacia di una famiglia con le radici ben ancorate a queste terre ai piedi del Monviso, ma con lo sguardo proiettato all’orizzonte.

È la fine del Settecento (1776) quando Antonio Battista Bussi, figlio di Pietro (nome che ricorrerà frequentemente nella genealogia familiare), nasce in Cascina Ghezza a Envie. Qui muove i primi passi, cresce e lavora fino al trasferimento a Cardé, dove mette su famiglia dando alla luce Giovanni Battista (1808), che però viene registrato all’anagrafe con il cognome Busso. Ancora più radicale la trasformazione del cognome dei figli, che – quando l’Italia unita è soltanto un’utopia – diventano Buzzi.

IL COMMERCIO DI GRANAGLIE

Pietro Buzzi (classe 1843) è uno di questi. È con lui che la storia della famiglia s’intreccia con quella di Cascina Sant’Antonio, una grande tenuta di 270 giornate (molte delle quali occupate da bosco e acquitrini), che il conte Voli concede in locazione a volenterosi agricoltori. E a Pietro l’intraprendenza non manca.

È il 1859, ha appena sedici anni e coglie al volo l’opportunità – insieme ai familiari – di prendere in affitto la cascina di Cervignasco. Se i fratelli si dedicano soprattutto alla cura degli animali e alla terra, Pietro mette in pratica le sue abilità commerciali, in particolar modo nel settore delle granaglie e del vino che importa dalla Puglia con l’ausilio di mediatori.

Da buon commerciante, frequenta le fiere di settore (spostandosi prevalentemente in treno), tra cui quelle di Verona e Padova. Proprio qui, al Caffe Pedrocchi (storico caffè risorgimentale frequentato da letterati e studenti, non di rado teatro di scontri tra patrioti e polizia austriaca), amplia la sua influenza commerciale, disquisendo su sementi e granaglie da far arrivare nel saluzzese. E proprio grazie alle sue importazioni che la qualità delle coltivazioni nell’ex marchesato migliorano notevolmente, tanto da meritarsi il titolo di Cavaliere del Regno in segno di riconoscenza da parte dei sovrani.

Crescono gli affari e la famiglia, dopo il matrimonio con Lucia Chiaffreda Gullino (sposata nel 1866): sei figli, l’ultimo – nato nel 1885 – con lo stesso nome del padre (Pietro), ma cognome diverso (Bussi). Una vita di sacrificio e lavoro per lui, abituato a mungere a mano e falciare l’erba nei campi fin da bambino.

GLI ANNI DELLA GUERRA

Poi, alle attività in cascina (che già allora poteva vantare una doppia stalla), si affiancherà anche l’allevamento di bachi da seta che Angela Borgognone (futura moglie di Pietro) porta avanti anche durante gli anni difficili dei conflitti mondiali.

Guerre che tutti i loro figli maschi (Pietro, Domenico, Celestino e Angelo – cui si aggiunge l’ultimogenita Lucia) sono costretti a combattere.

Allo scoppio della la Seconda Guerra Mondiale, i fratelli si trovano obbligati a imbracciare il fucile prima sul fronte francese e poi su quello albanese. Oltre che per l’Italia intera, anche per Celestino (classe 1916) e Angelo il settembre del 1945 rappresenta uno spartiacque: se il fratello maggiore Domenico riesce a fuggire verso casa e nascondersi, per loro inizia uno dei periodi più difficili.

Fatti prigionieri dai soldati tedeschi a Bolzano, vengono spediti in un campo di lavoro ai confini con l’Olanda, per poi essere trasferiti in una fonderia a Colonia e successivamente in Austria. Due anni di prigionia che s’interrompono improvvisamente, quando le bombe smettono di parlare da un giorno all’altro e i due fratelli, increduli, salgono a bordo di una corriera che li riporterà sani e salvi fino a Milano. Quando ritornano a Cervignasco, in pochi li riconoscono, smagriti e provati dai tanti anni lontani da casa.

 L’ESPERIENZA DA MUGNAIO

In cascina il lavoro non manca, ma le bocche da sfamare sono tante. Così Celestino, insieme al fratello Pietro, nel 1952 decide di spostarsi a Cardé, dove trova impiego come mugnaio. Qui ci resta otto anni, prima di far ritorno definitivamente in Cascina Sant’Angelo. Mettendo insieme le forze, con i fratelli Angelo (che nel frattempo si era spostato con Giuseppina Bollati, da cui avrà i figli Piera ed Elio) e Pietro, acquista il casolare che da più di cent’anni la famiglia continuava ad affittare dai discendenti del conte Voli. Novanta giornate di terreno, una stalla e tanta voglia di crescere.

È il 1960, tre anni prima del matrimonio con Natalina Martinengo (originaria di Cardé) e dell’arrivo dei due gemelli Dario e Guido. Abituati fin da piccoli a occuparsi dell’azienda, per i due gemelli è naturale restare in cascina – al termine del percorso scolastico – per portare avanti una tradizione centenaria. Nella stalla una mandria di piemontesi, cui si affiancheranno (quando papà Celestino lascerà l’azienda ai due figli) le prime vacche frisone. Proprio nel 1985, con il passaggio generazionale, c’è la costruzione della nuova stalla, in grado di ospitare una novantina di animali. Nel frattempo, Dario trova l’amore: nel 1984 si sposa con Carla Botta, che l’anno successivo gli regalerà la gioia di diventare papà per la prima volta di Micaela, poi di Roberto (1993) e Myram (2006).

UN NUOVO CAPITOLO

In Cascina Sant’Angelo la tranquillità viene completamente stravolta la notte del Capodanno del 1994. Guido, insieme alla moglie Maura e alla figlioletta di due anni Alessandra, muore in un incidente stradale lungo la provinciale per Savigliano.

Dario, affranto dal dolore per la scomparsa del fratello e della sua famiglia, si trova a dover mandar avanti da solo l’azienda agricola. Carla subentra come coadiuvante, sostiene il marito in questa difficile prova. E così si va avanti, un passo dopo l’altro.

Nel 2001 si costruisce la nuova stalla, con la sala mungitura, e l’allevamento viene completamente convertito a produzione di latte, con l’acquisto di un’intera mandria di frisone. Qualche anno più tardi (2010), anche la vecchia stalla viene ristrutturata e nel 2013 la Cascina Sant’Angelo torna alla sua dimensione “originale”, con l’affitto di Dario dei terreni e dei fabbricati fino a quel momento gestiti dai cugini. Cresce la produzione, nel 2023 si costruisce una nuova stalla per le manze e da quest’anno (2024) anche gli immobili in affitto diventano di proprietà. Da qualche anno in azienda ci sono anche il figlio Roberto (che la sera, dismessi gli abiti da lavoro, indossa quelli da Dj) e tre dipendenti di origine indiana, che ormai – con moglie e figli al seguito – fanno parte della famiglia.