Come il cervello influenza la percezione del gusto

Il colore, il profumo e addirittura il nome di un cibo condizionano il nostro palato

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Che il profumo e la presentazione visiva di un piatto possano già appagarci la gola è fatto abbastanza risaputo, ma che anche il nome dello stesso, le luci d’ambiente o l’atmosfera del ristorante possano modificare il gusto del cibo non così tanto.

Lo ha dimostrato, sperimentando sul campo le sue conoscenze di neuro scienziato, Vincenzo Russo, professore alla Iulm di Milano.  Come spiega nel suo ultimo libro (“Neuroscienze a tavola”, Guerrini Next), il piacere di un piatto non dipende esclusivamente dalla qualità delle materie prime o dalla bravura di chi lo ha cucinato: la risposta al cibo è guidata da moltissimi fattori, dagli stimoli che recepiamo per percepire i piatti (che sia la forma del contenitore, alla luce della sala, al profumo dell’ambiente).

In appena 13 millisecondi, come ha dimostrato con i suoi studi, un piatto fa emergere in noi le prime reazioni, stimolando la parte più antica del cervello (detta limbica), che agisce in modo del tutto automatizzata e involontaria.

Secondo il professore, accanto ai 5 sensi comuni (vista, tatto, udito, gusto e olfatto), ce ne sono altri tre (quello vestibolare, il senso d’equilibrio; quello cinestetico, la percezione del movimento all’interno del nostro corpo; quello viscerale, collegato al sistema limbico e al senso di disgusto) che sono stimolati durante il nostro rapporto con il cibo.

Così, inconsciamente, il colore verde fa percepire meno la soglia di acidità di una bevanda, mentre il rosso ne riduce l’amarezza. Curiosamente, anche il nome dei piatti influenza la percezione che noi abbiamo di essi: un test americano ha dimostrato che la stessa identica insalata chiamata “Pasta Salad” è stata giudicata più salutare quando è stata ribattezzata “Salad with Pasta”. A conferma che, quando ci sediamo a tavola, tutti i nostri sensi sono attivati e non gustiamo soltanto con la gola.