Là dove c’era solo una vigna

Dai mercati del torinese alla cascina in località Bivio di Frossasco

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FROSSASCO

Ad accompagnarlo di cascina in cascina c’è il fidato ronzino con il suo carretto carico di prodotti della terra. È così Giovanni Battista Righero, classe 1860, si guadagna da vivere quando il Novecento bussa alla porta: a Cantalupa, dov’è nato e vive, c’è la moglie Pelagia che manda avanti la piccola bottega del paese mentre lui macina chilometri e chilometri acquistando e rivendendo prodotti alimentari e non solo. Dalla farina al vino, dalle verdure allo zucchero, dai salumi ai formaggi.

Non c’è mercato del torinese che non conosca Giovanni Battista, soprannominato anche Giovanni “dei Frà”, per via di un antico passaparola secondo cui un lontano parente avrebbe dismesso gli abiti da monaco e seguito le ragioni del cuore.

Come si presentava l’antica cascina

IN CASCINA CULUMBÈ

La famiglia di Giovanni Battista è davvero numerosa: dalla prima moglie ebbe quattro figli, dalla seconda (sposata dopo la prematura scomparsa della prima) altri nove. Tredici fratelli in tutto.

Uno di questi è Aldo (classe 1898), che dopo aver passato l’infanzia a Cantalupa, si trasferisce in quella che tutti chiamano Cascina Culumbè, un’imponente struttura nella vicina Frossasco, in origine utilizzata come ospedale per lebbrosi, che il papà aveva acquistato per 13 mila lire ai figli avuti dal primo matrimonio.

Accanto alle case, c’è anche una piccola stalla dove s’inizia ad allevare qualche vacca piemontese. Ad aiutarlo nei campi c’è la moglie Vittoria Francese, anche lei abituata a farsi largo per trovare il suo posto in una famiglia numerosa (11 fratelli).

E mentre l’Italia si scopre fascista, Aldo e Vittoria diventano genitori: prima Giovanni (1926), poi Ermes (1928) e per ultimo Ezio (1936), che quando scoppia il conflitto mondiale è poco più che un bambino.

Fortunatamente il dramma della guerra risparmia la famiglia Righero. Solamente papà Aldo, che durante la Resistenza aveva dato il suo contributo, è costretto a vivere da rifugiato tra le montagne per oltre un mese, sfuggendo – grazie al prezioso aiuto del parroco del paese – ai rastrellamenti dei militari tedeschi.

IN LOCALITÀ BIVIO

Archiviata questa triste pagina di storia, c’è un Paese da ricostruire. Nella Cascina Culumbè lo si fa assieme per un po’, finché la sorella Ermes non si sposa, il primogenito aumenta la sua famiglia (un matrimonio e 4 figli) ed Ezio trova in Maria Ferrero la donna della sua vita.

Conosciuta alla festa di Roletto, Maria (classe 1941) diventa moglie nel 1962, un anno prima di trasferirsi nella nuova casa che, mattone dopo mattone, era stata costruita a partire da zero in un terreno acquistato in località Bivio, sempre a Frossasco.

Filari di vigna e un pozzo: ecco quello che c’era prima che, con fatica e sacrificio, Ezio e Maria iniziassero qui la propria avventura, costruendo una piccola stalla in grado di ospitare una quindicina di animali. Il duro lavoro non spaventa Ezio che, dopo aver sperimentato per pochissimo la fabbrica (gli bastarono tre giorni nel reparto di verniciatura della Fiat per capire che il suo posto era all’aria aperta), decide di diversificare l’attività agricola: accanto all’allevamento delle piemontesi, la coltivazione delle vigne e l’acquisto di macchinari per la trebbiatura. Una scommessa vincente che, nel corso degli anni, lo porterà a essere punto di riferimento per il lavoro in conto terzi di tutta la zona, impegnato per lunghi periodi dell’anno.

VERSO IL PRESENTE

Nel 1968, quando ancora in casa non c’era l’illuminazione (arriverà nel 1971) e l’acqua corrente, la famiglia cresce: nasce Silvana, che oggi – insieme ai figli e al marito – gestisce l’azienda. Una scelta, quella di continuare la tradizione, che Silvana matura poco per volta negli anni, dopo gli studi superiori, quando l’orgoglio di appartenere a questa famiglia si fa sempre più strada.

Nel 1978 si costruisce una nuova stalla, dove trovano posto una trentina di vacche, alcune per l’ingrasso e altre per la mungitura, e a dare una mano arriva anche Marco Arbrile (classe 1966), che dopo due anni di fidanzamento, nel 1992 si sposa con Silvana.

Da Torino, dove viveva e lavorava (aveva un impegno all’interno della Fiat), decide di seguire il cuore e la passione per la terra, affiancando la sua compagna di vita nell’attività professionale.

Nel 1994, dopo la costruzione di una nuova stalla (circa 60 animali in più) e della prima sala mungitura, Marco lascia definitivamente il lavoro per dedicarsi completamente all’allevamento, che nel frattempo si converte quasi esclusivamente alla produzione di latte. Sempre in quell’anno, infatti, Silvana con papà Ezio acquista le prime frisone: dal nord della Francia, dov’erano state attentamente scelte dai nuovi proprietari, arrivano a Frossasco le prime trenta vacche da latte.

Non passano due anni che si festeggia nuovamente: nasce Davide (1996), fratello più vecchio delle gemelle Alice ed Erica (2000), oggi anche loro a pieno titolo all’interno dell’attività di famiglia.

Lo spazio inizia a mancare, così nel 2000 si realizza un nuovo capannone, nel 2006 una casa dall’altra parte della strada, tre anni più tardi una seconda tettoia (2009). Nel 2013, dopo l’ammodernamento della sala mungitura, Ezio – anche a causa di problemi di salute, cresciuti dopo la scomparsa della moglie (2007) – lascia definitivamente spazio alle nuove generazioni, che sempre più portano idee e innovazioni.

i vitelli pascolano all’aperto

Cresce la mandria, si riammoderna la stalla e la sala mungitura, fino ad arrivare all’oggi con una novantina di vacche in lattazione e 220 capi complessivi.

Un’azienda a gestione familiare che, dopo gli ultimi investimenti (collari, ventilazione e impianto fotovoltaico per autoconsumo), guarda con fiducia al futuro, immaginando un nuovo magazzino nei prossimi mesi. Un’azienda che, un po’ per scelta e un po’ per necessità (dovendo trovare alternative alla coltivazione del mais devastato dalle continue incursioni dei cinghiali), ha ripensato anche all’alimentazione della mandria, puntando anche su sorgo e triticale, colture che richiedono meno apporto di acqua. Una scelta fatta in passato ma che ora, in un momento in cui la siccità rappresenta uno dei problemi più gravi per l’agricoltura, si rivela vincente.