A Moretta, a pochi passi dal fiume Po, una cascina dove le tradizioni resistono con tenacia

Quei prati, dove ancora oggi pascolano gli animali in libertà, erano troppo a ridosso del Po. Quando la pioggia si faceva più intensa e cresceva la portata del fiume, capitava che l’acqua tracimasse oltre gli argini, allagando tutto quanto. Non ne poteva più di dover ricominciare daccapo ogni volta, in un’epoca dove per tutto serviva la forza delle braccia e il sudore della fronte. Così, decise di ritirarsi in paese, vendendo l’attività e la cascina.

Diego Arena in sella, in piedi papà Guido
La cascina Bogliotto come si presentava nel 1936

LE ORIGINI

È il 1921 quando Chiaffredo Arena (classe 1867), già nonno di tre nipoti, prende questa decisione, costringendo di fatto il figlio Pietro Giuseppe (classe 1894) a ripartire da zero.

Pietro con la moglie Teresa Colla decide così di prendere in affitto una piccola cascina in località Porta Rossa, con una ventina di giornate di terreno per la coltivazione delle piante di gelso, le cui foglie sono l’alimento della dieta dei bachi da seta. Ed è proprio in questo settore che si fa strada, occupandosi della commercializzazione in tutta la regione e non solo.

Poco alla volta la sua autorevolezza cresce sempre più, tanto da essere nominato referente del settore agricolo per la provincia di Cuneo, chiamato a conferire direttamente con il re Vittorio Emanuele III.

Pietro (secondo da destra) con il re Vittorio Emanuele III

AL BOGLIOTTO

L’occasione di ampliare gli orizzonti arriva sul finire degli anni Trenta, quando la moglie riceve in eredità una vecchia cascina a Cavour, subito messa in vendita. Con i proventi, Pietro decide di acquistarne un’altra nella sua Moretta, in località Brasse Grosso. Ma non è qui che si trasferisce. Perché nel frattempo il conte Paolo Prat gli aveva chiesto di farsi intermediario nella compravendita di altre due proprietà (sempre in paese) e di occuparsi della ricerca di  affittuari interessati a gestire le aziende agricole. Una di queste cascine è “Il Bogliotto”, di cui Pietro s’innamora e che chiede di poter gestire in prima persona. Non è troppo lontana da quella che, una decina d’anni prima, papà Chiaffredo aveva deciso di vendere.

Così, nel 1936, dopo sei mesi di lavori di ristrutturazione, Pietro si sposta con tutta la famiglia al “Bogliotto”. Accanto alla casa, la stalla: 15 vacche piemontesi e un cavallo da traino. A scorrazzare nel cortile i figli Anna (classe 1913), Chiaffredo (1916) e Severino (1919), tutti impegnati nel dare una mano nei lavori dei campi.

Ma la serenità di quei momenti dura poco: nel giro di qualche mese, viene a mancare la moglie Teresa, trascinando nello sconforto tutta la famiglia.

LA GUERRA

Severino, non ancora maggiorenne, forse per lasciarsi alle spalle quel dolore così profondo, chiede al padre l’autorizzazione a iscriversi come volontario nell’aviazione militare.

Non è una scelta facile quella di lasciar partire un figlio, soprattutto mentre i venti di guerra si fanno sempre più minacciosi su tutta l’Europa.

Ed è proprio con la II Guerra Mondiale che Severino deve fare duramente i conti: in Algeria, dove prestava servizio occupandosi dei rifornimenti via terra, viene catturato e fatto prigioniero. Trasferito in Marocco, riesce a liberarsi solamente a conflitto finito (1946) con uno stratagemma: mostrando la foto della donna di un suo commilitone, riesce a far credere ai nemici di dover tornare presto a casa perché la moglie era in fin di vita.

In realtà, in quel momento, a casa non c’era nessuna compagna ad aspettarlo.

Ma l’anno successivo l’amore trionfa: nel 1947, Severino si sposa con Maria Bollati, da cui avrà tre figli: Piersimone (1949), Guido (1951) ed Ezio (1957).

Sono gli anni della ripresa, della ripartenza dopo il dramma della guerra. Si lavora sodo, ma la fatica viene ripagata.

La passione di Severino per la meccanica, che ha perfezionato durante il servizio militare, si applica anche all’agricoltura: è lui il primo morettese ad acquistare un trattore per i lavori nei campi, è lui a costruire macchine e macchinari artigianali per migliorare le attività in azienda.

LE VACCHE DA LATTE

Ma, intanto, le nuove generazioni si fanno avanti: Guido subito dopo le scuole medie s’inserisce nell’azienda di famiglia. Nel 1968, approfittando di una speciale normativa, entra come affittuario nella cascina di Brasse Grosso di proprietà del nonno. Qui inizia ad allevare vacche olandesi, orientandosi nella produzione di latte.

Nel 1972, dopo due anni di fidanzamento, arriva il matrimonio con Caterina Quaglia, originaria di Cervignasco. Un’unione che porterà cinque figli: Diego (’72), Patrizia (’74), Osvaldo (’76), Isabella (’78) e Nicoletta (’92).

Intanto, a dar man forte in cascina c’è anche il fratello Ezio, che nel 1973 s’inserisce come coadiuvante. Sette anni più tardi, Guido diventa a tutti gli effetti il titolare dell’azienda agricola, subentrando a papà Severino (che verrà a mancare nel 2003, nello stesso anno in cui Ezio decide di lasciare l’attività in campagna per dedicarsi all’edilizia).

Gli anni Ottanta sono complicati. Accanto al risanamento della mandria, c’è da districarsi con la questione delle quote latte.

Guido resta solo in azienda, senza abbandonare la sua filosofia di allevamento: vacche al pascolo, a un passo dalla stalle, libere di rientrare al momento della mungitura, che ancora oggi viene svolta senza ricorrere a forza lavoro esterna.

IL FUTURO

Dopo oltre vent’anni tra cemento e mattoni, nel 2010 il figlio Diego decide di fermarsi stabilmente in azienda. Non più un aiuto saltuario al padre durante i fine settimana, ma una vera professione, dove coniugare anche la sua grande passione per i cavalli. È con un cavallo, infatti, che Diego raduna la mandria, accompagna gli animali nella stalla e si sposta da campo a campo. Proprio come si fa nelle praterie americane, dove per ben tre volte (Arizona, Texas e Utah) ha prestato servizio in fattorie e ranch.

Ora, mentre nella stalla ci sono una novantina di capi, il futuro si chiama Andrea.  È il figlio di Diego e Madalina Ciuraru, ha appena cinque anni, ma al Bogliotto sta già mettendo radici.

La mandria al pascolo accanto alla cascina

LE SOLUZIONI ALL’EMERGENZA CEREALI

È emergenza cereali. Dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina, l’agricoltura italiana cerca risposte alla carenza di materie prime che – inevitabilmente – si sta acuendo sempre più. Nei giorni scorsi, al ministero è stato convocato un tavolo con i sindacati di categoria agricoli per discutere del problema. «Siamo pronti a coltivare da quest’anno 75 milioni di quintali in più di mais per gli allevamenti, di grano duro per la pasta e tenero per la panificazione, per rispondere alle difficoltà di approvvigionamento dall’estero determinate dalla guerra», ha detto Ettore Prandini, presidente della Coldiretti, proponendo all’industria alimentare e mangimistica dei contratti pluriennali di filiera con gli agricoltori per seminare mais e grano.

Dall’estero, come è stato fatto notare in occasione del tavolo, proviene circa la metà del mais necessario per l’alimentazione del bestiame, il 35% del grano duro per la pasta e il 64% di quello tenero per la panificazione.

Negli ultimi dieci anni, secondo Coldiretti, la produzione nazionale di mais si è ridotta di quasi un terzo, mentre un campo di grano su cinque è sparito perché «le industrie hanno preferito acquistare sul mercato mondiale in modo speculativo, approfittando dei prezzi bassi». «Ora è possibile recuperare alla coltivazione di cereali in Italia almeno un milione di ettari di terreno garantendo redditività alla coltivazione ma anche – ha precisato Prandini – contrastando seriamente l’invasione della fauna selvatica che sta costringendo in molte zone interne all’abbandono ed intervenendo inoltre seriamente sulle normative comunitarie che spingono a non coltivare i terreni, eliminando l’obiettivo del 10% di terreni incolti».