Secoli al cospetto del Monviso

Da cent’anni la famiglia Demarchi conduce l’azienda di Via dei Romani La lunga storia di Cascina Campagnole, tra stalla e frutteti

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SALUZZO 

Nelle giornate terse, quando nel cielo non c’è neppure una nuvola, sembra quasi di poterlo toccare soltanto allungando la mano. Il Monviso, che svetta maestoso all’orizzonte, è probabilmente l’unico testimone dell’intera storia di Cascina Campagnole, storica azienda agricola di Via dei Romani, frazione alle porte di Saluzzo. Oggi guidata dalla famiglia Demarchi, ha alle spalle una tradizione che affonda le radici alla fine del Settecento.

Le storiche targhe in cascina

Costruita da alcuni possidenti dell’epoca, diventata di proprietà della famiglia Ferraris (membri dell’aristocrazia ligure), è negli anni Venti del Novecento che la cascina ospita tra le sue mura la prima generazione di Demarchi.

LE ORIGINI

Da San Benigno (Cuneo), dove conduceva in affitto un piccolo casolare insieme alla moglie Anna Magnano, il bisnonno Biagio ha l’occasione di trasferirsi in Via Dei Romani. Lasciata alle spalle l’esperienza della guerra, con la famiglia (quatto figli: Andrea, Filippo, Chiaffredo e Giuseppe) inizia l’avventura nella pianura saluzzese.

Una casa, un portico e una piccola stalla, con una trentina di piemontesi. Tutto è fatto a mano, dalla cura dei campi alla mungitura, ma nessuno è spaventato dalla fatica e dal sudore. Sono anni d’impegno e sacrificio, ma le braccia non mancano.

Finché il secondo conflitto mondiale non stravolge l’esistenza di tutti. I quattro fratelli devono partire per la guerra, con Chiaffredo (classe 1911) destinato alla campagna di Russia. Mentre gli uomini sono impegnati al fronte, della cascina si occupano le donne di casa, rimaste ad aspettarli con il cuore in gola e gli occhi pieni di lacrime.

Catturato dai tedeschi durante la ritirata, Chiaffredo riesce miracolosamente a rientrare nella sua Saluzzo, dove ad aspettarlo alla stazione c’è la moglie Maria Paschetta (classe ’20), a cui mai racconterà il dramma delle battaglie, delle prigioni e dell’umanità calpestata. Ferite troppo grandi da ricucire, che è meglio dimenticare per ricominciare a vivere.

In Cascina Campagnole, si riprende da dove si era lasciato: le famiglie crescono (quella di Chiaffredo con i figli Anna, Biagio e Roberto), le esigenze di spazio anche.

Biagio e Anna con i quattro figli (Andrea, Filippo, Chiaffredo e Giuseppe

IL DOPOGUERRA

Nel ’51 le strade dei quattro fratelli si dividono: Andrea, Filippo e Giuseppe si spostano in altre cascine, mentre a gestire quella ai piedi del Monviso c’è Chiaffredo, che non perde tempo.

Nel 1953 costruisce una nuova stalla in grado di ospitare una quarantina di animali. Arriva anche la prima mungitrice, il latte è raccolto nei bidoni e poco per volta l’azienda agricola inizia a differenziare le proprie attività. Negli anni Sessanta, accanto ai terreni coltivati per le necessità della stalla, appaiono i primi frutteti che oggi rappresentano una delle due anime dell’azienda. Così si affianca la frutticultura, in un’area che poco alla volta si scopre particolarmente adatta a questa vocazione, con la nascita di numerose realtà che si occupano di trasformare e commercializzare la frutta in tutt’Italia e nel mondo.

Ma prima di lasciare che i figli prendano in mano le redini della cascina, Chiaffredo è ancora protagonista di un’altra grande trasformazione: nel ’72, nella stalla di Via dei Romani (che nel frattempo è cresciuta, con ampliamenti e nuove tettoie), arrivano le frisone. Si cambia razza. Addio alle piemontesi che per secoli hanno accompagnato la storia di Cascina Campagnole, benvenute alle prime quaranta frisone da latte provenienti dal Canada. È un modo completamente diverso di lavorare, nuovi ritmi di mungitura e alimentazione degli animali da ripensare.

Nel ’77 tocca alla terza generazione di Demarchi portare avanti la tradizione di famiglia: Biagio (classe ’47), con la moglie Maria Teresa Ghigo, e il fratello Roberto (classe ’56), che qualche anno più tardi sposerà Orestina Varo, si caricano sulle spalle il peso e le responsabilità dell’azienda.

Con l’avvento della rivoluzione tecnologica cambia l’approccio al lavoro, nella stalla e nei terreni, che nel continuano a crescere in estensione e si diversificano sempre più. Accanto ai prati stabili (che ancora oggi continuano a resistere, richiamando anche le mandrie del malgari che scendo dai monti), arrivano frutteti di mele, pesche, kiwi e susine.  Cresce l’azienda, aumenta il numero di capi e s’allarga la famiglia. Due figli per Biagio (Maurizio e Paolo) e uno per Roberto (Alberto).

1951

Dopo la guerra, le strade dei 4 fratelli si separano: in azienda rimane Chiaffredo

1953

La costruzione della prima stalla moderna

1972

La conversione dell’allevamento: addio alle piemontesi, arrivano le frisone

1977

La 3a generazione prende le redini dell’azienda: tocca a Biagio e Roberto

2007

Diventano contitolari anche i figli: Maurizio, Paolo e Alberto

2012

Viene costruito l’impianto a Biogas

I GIORNI NOSTRI

Oggi sono loro (la IV generazione) a occuparsi di Cascina Campagnole, che conta 270 animali (110 in mungitura), 50 giornate di terreno destinate alla frutticultura (sulle 330 in totale) e un impianto di biogas da 150 Kw in funzione dal 2012.

Con il papà Biagio, al cospetto del Monviso

Nei campi il mais e il foraggio per le vacche (la stragrande maggioranza degli alimenti agli animali è prodotta all’interno dell’azienda agricola), sugli alberi i frutti da raccogliere grazie alla manodopera stagionale. Nella stalla, ad aiutare i fratelli Maurizio e Paolo (il cugino Alberto pur essendo socio è impiegato in altra attività) ci sono alcuni dipendenti.

Grande attenzione alla qualità delle materie prime con cui vengono alimentati gli animali, il cui latte finisce da decenni al caseificio Biraghi di Cavallermaggiore,  con cui il rapporto non si è praticamente mai interrotto da quando è iniziato. E mentre le più piccole (Ginevra, 4 anni, e Vittoria, 1 anno – figlie di Paolo e Debora) si divertono a giocare nel cortile, c’è chi cresce (Davide, 15 anni, figlio di Maurizio) e si candida a diventare il futuro di Cascina Campagnole. Sotto lo sguardo reale del Monviso.