Più del 50% degli italiani ha dichiarato di aver creduto ad una “fake news” sull’agroalimentare, mentre il 37% afferma di averla anche condivisa sui social, contribuendo – involontariamente – a diffondere la bufala. Queste percentuali sono contenute all’interno di uno studio condotto dal Centro di ricerca dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, in una ricerca coordinata dalla professoressa Guendalina Graffigna, dove si evidenzia come nessuna persona, indipendentemente dalla classe sociale e d’istruzione, può dirsi immune a questi rischi.

È molto interessante, leggendo il report, la classificazione che i ricercatori offrono dei consumatori più propensi a credere alle bufale sul cibo e che, successivamente, possono contribuire alla loro diffusione. Una categoria è quella che viene definita dei “distratti” (circa il 42% del campione), ovvero le persone poco attente alle loro scelte alimentari, che hanno uno stile di vita poco sano ma sembrano non problematizzarlo e sono più propensi a provare le nuove mode alimentari più per esperimento che per altro. Poi ci sono i cosiddetti “disorientati” (33%), che sono proattivi nella ricerca di informazioni in campo alimentare perché preoccupati per la loro salute e alla ricerca di indicazioni autorevoli, ma spesso si lasciano influenzare dall’opinione altrui. L’ultima categoria è quella dei “narcisi” (25%), persone che ricercano spesso informazioni riguardanti l’alimentazione per mantenere uno stile di vita sano e, soddisfatti del loro stile alimentare, appaiono meno critici verso le fonti di informazione e talvolta “integralisti” nelle loro scelte alimentari, spesso basate su argomentazioni valoriali e politiche.

«La diffusione delle fake news alimentari ha un impatto importante non solo sulle tasche degli italiani, ma anche sulla loro salute. I consumatori che sono preda delle fake news tendono a fare acquisti alimentari diversi rispetto agli altri e risultano maggiormente preda delle mode. In particolare i cibi “senza” o “con aggiunta di” tendono a essere preferiti e considerati più salutari (indipendentemente dalle effettive proprietà nutrizionali) da chi è maggiormente soggetto al potere persuasivo delle fake news», commenta Graffigina.