«Serve garantire la continuità aziendale»

La sindaca di Carmagnola, Ivana Gaveglio, crede nell’efficacia dei progetti di territorio

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È la campagna che sfama Torino, la terra che nutre la città. Un’area a vocazione agricola che, in concerto con altre realtà, si candida a diventare distretto del cibo per valorizzare le produzioni agroalimentari che stanno riscontrando sempre più consenso sul mercato. Ivana Gaveglio, sindaca di Carmagnola, è convinta che solamente allargando gli orizzonti è possibile garantire una continuità alle eccellenze del territorio. «La grande sfida è preservare una tradizione che ci ha premiato in questi anni, accompagnando le aziende nel percorso di ricambio generazionale necessario».

Ivana Gaveglio

Il peperone di Carmagnola è il re di questa terra.

«Indubbiamente, ma occorre rafforzare il suo regno. La piazza del municipio stracolma di peperoni appena raccolti dai campi è una fotografia sbiadita nel tempo. Oggi la quantità si è ridotta, ma è cresciuta la qualità. Grazie alle sue proprietà organolettiche, che lo rendono particolarmente digeribile, il peperone di Carmagnola è apprezzato e ricercato anche fuori dai nostri confini. Per questo credo che gli sforzi degli enti locali non debbano concentrarsi tanto sulla promozione, quanto nel sostegno alla filiera affinché continui a produrre prodotti di qualità in numero sufficiente».

Come si traduce l’intenzione?

«In progetti di collaborazione allargata come quello del distretto del cibo, che coinvolgendo più realtà – ognuna con una sua specificità agricola (come l’asparago di Santena, le ciliegie di Pecetto o la tinca gobba di Poirino) – può creare sinergie e opportunità, con aziende agricole interessate a portare avanti coltivazioni tipiche di aree confinanti. E puntando sull’innovazione e sulla formazione dei giovani, dimostrandogli concretamente come un’agricoltura di qualità si traduca in lavoro e realizzazione professionale».

Andare oltre all’immagine del contadino curvo nei campi a raccogliere le verdure?

«Il sacrificio e la fatica non si possono cancellare completamente, ma a differenza del passato esistono tecnologie e tecniche che possono aiutare nei compiti più gravosi. Credo che oggi sia imprescindibile, per un imprenditore agricolo, disporre di conoscenze in svariati ambiti, che vanno dalla cura dei campi alla promozione commerciale dei prodotti. In questo senso, un ruolo fondamentale lo rivestono gli istituti d’istruzione superiore a indirizzo tecnico, che stanno riscuotendo un crescente interesse».

Innovarsi per salvaguardare la tradizione, dunque?

«È necessario. Non lo dico solamente io, ma anche il presidente del Consorzio del peperone di Carmagnola in ogni occasione pubblica. Gli enti pubblici devono supportare questa transazione. Non esiste soltanto l’Industria 4.0, ma anche l’Agricoltura 4.0: un settore che necessita di strumenti, investimenti e aggiornamenti per salvaguardare produzioni che sono – o sono state – la colonna portante dell’economia di questa terra. Qualcosa si sta muovendo».

A cosa si riferisce?

«Ad esempio al sostegno che la Regione offre alle imprese che coltivano la canapa, antica produzione che ha fatto della nostra città il crocevia di commerci nell’antichità, quando qui si producevano manufatti in tela e cordami, esportati in grande quantità verso la Liguria e il sud della Francia. Oggi, la coltivazione della canapa è legata alla produzione del seme (il seme Carmagnola), particolarmente apprezzato e ricercato all’estero. Investire in questo settore è una scommessa, ma occorre che la filiera sia completata, che sul territorio nascano aziende interessate a trasformare e valorizzare questo prodotto, che ha molteplici usi, dall’edilizia alla farmaceutica, dall’alimentare all’energetico».

Tra le tradizioni, non si può non citare il mercato del bestiame.

«Assolutamente. Con Cuneo, Carmagnola è uno dei poli più attrattivi del mercato zootecnico, che tuttavia – a causa di questa pandemia – ha dovuto reinventarsi. Le contrattazioni si sono spostate direttamente all’interno delle cascine e parte di quell’antica tradizione si è persa. Mi auguro di poter veder presto ripopolarsi le tettoie».

Carmagnola può essere considerata l’ultimo baluardo di provincia prima della metropoli torinese oppure la prima campagna del capoluogo. Come convivono l’anima agricola e quella industriale della città?

«Negli anni si è raggiunto un equilibrio soddisfacente. Oggi l’industria non ha più bisogno di spazi, di giornate di terreno da occupare, mentre l’agricoltura riesce a produrre di più con estensioni minori. Il vero problema, e lo voglio sottolineare, è riuscire a convivere con anime che della città non fanno parte, ma che la devono attraversare per forza: mi riferisco ovviamente alla questione della tangenziale, un’arteria che sarebbe quanto mai necessaria per alleggerire la città dal traffico pesante».

Un equilibrio oggi minacciato dal rischio del deposito italiano di scorie radioattive.

«Siamo in trincea. Abbiamo raccolto 13 mila firme, mobilitato sindaci e parlamentari del territorio, spedito le nostre osservazioni per contrastare quelle di Roma. È impossibile pensare di costruire un deposito, 165 ettari di cemento armato, in una delle pianure più fertili d’Italia, in un territorio d’eccellenza agricola. Quell’area è stata considerata potenzialmente idonea: a maggio del prossimo anno, dopo un lungo iter burocratico, sapremo se quell’ipotesi continuerà ad essere ancora in piedi. Fino ad allora, con tutti gli agricoltori e cittadini di Carmagnola, ci batteremo per salvaguardare la nostra terra».